Una pratica di yoga può imboccare strade diverse.
Può lasciare sostanzialmente invariate le abitudini percettive e le forme mentali in base alle quali si stabilisce la relazione con il corpo, con il respiro, con gli altri, con il mondo.
Si può praticare, allungare o tonificare la muscolatura, migliorare la propria funzione respiratoria, imparare a concentrarsi e a calmarsi, senza tuttavia liberarsi realmente dai propri schemi di interpretazione e di valutazione. Spesso la mente nutre l’illusione che pervenendo a modificare il proprio stato – realizzando una maggiore calma, una maggiore concentrazione – potrà semplicemente per questo avere accesso a una realtà che va oltre i propri confini.
Procedendo nella pratica dello Yoga è possibile percepire come la mente, finché operante nell’ambito della personalità, rimanga uno strumento sostanzialmente rigido, che tende a seguire percorsi preordinati e mai messi in discussione, e come la struttura corporea e nervosa renda sempre testimonianza di tutto ciò.
Si può altresì realizzare come, di fronte a particolari condizioni legate al sentimento d’Essere, la mente manifesti una “plasticità” e inattese capacità di ampliamento delle proprie funzioni – quando la conformazione consueta della mente si sospende, proprio come suggeriscono gli Yoga Sutra – per arrivare a esprimere una nuova visione allorché gli schemi, fino a quel momento adottati, si rivelano impropri.
Diviene chiaro, quindi, come la configurazione, la ragion d’essere e l’obiettivo della lezione siano intimamente collegati alla pregnanza che l’insegnante, in base al proprio vissuto interiore, riesce a conferire al termine Yoga.